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mercoledì 28 gennaio 2015

Un nuovo inizio è possibile?

Ieri mi ha chiamato mia mamma. Ultimamente le comunicazioni non sono così frequenti e amabili. Forse perché per la prima volta mi sto pian piano discostando da quello che è il modello di figlia che persegue i giusti obiettivi. "E' importante che ricominci a lavorare". La pressione è sottile. "Pensa ai contributi".
Mi ha fatto riflettere.

La sua generazione, quella dei baby boomers, è stata la prima ad avere accesso in massa all'istruzione. I laureati negli anni '70 erano la minoranza della popolazione e hanno avuto la strada per lo più spianata in qualunque settore si accingessero a entrare, sia pubblico sia privato. Un mondo del lavoro pieno di opportunità che apriva le porte a chiunque avesse la pergamena firmata da un rettore e la voglia di darsi da fare. Le donne alzavano la testa, si emancipavano, gli uomini facevano carriera, in quegli anni '80 scintillanti di paillettes, ebbri di Amaro Ramazzotti e di sogni. Si innescava un ciclo di lavora, produci, guadagna, spendi e consuma, che ha portato la società e l'economia ad avvitarsi su loro stesse fino a rimanerne strangolate.
Insomma un lavoro per tutta la vita, i contributi, poi finalmente la pensione. E questa è l'ottica con cui siamo cresciuti pure noi, figli degli anni '80. Chi non segue il flusso è perduto. O è uno sfigato.

No, qualcosa proprio non mi torna. E non è perché dopo aver afferrato a 25 anni un prestigioso lavoro a tempo pieno in una grande multinazionale sono stata lasciata a terra da un giorno all'altro. Non è perché in un'altra grande multinazionale sono entrata e uscita, rimanendo solo il tempo necessario a coprire un buco. No. Perché anche mentre lavoravo e come obiettivo avevo il lavoro (trovarlo, mantenerlo, cambiarlo) e fuori dal lavoro pensavo a come migliorare nel lavoro e a poco altro, il malessere c'era e non sempre era latente. La depressione, il mal di stomaco, la sensazione di non essere mai abbastanza, di dover dare di più senza chiedere mai, di dovermi spremermi ancora e ancora...Sentivo che qualcosa non andava, mi stava stretto,  mi incappucciava.
Poi però la vita è strana. Gli eventi fanno il loro corso e tu a volte sei semplicemente uno spettatore. Succede che arriva un bimbo e ti accorgi che le priorità che avevi forse erano tarate male. Che stavi correndo, sì, ma in circolo. Che insomma mai ti eri fermata un attimo a pensare. Ora il tempo per pensare ce l'hai un po' forzatamente, visto che senza un lavoro fai la mamma a tempo pieno. E tanta voglia di tornare in quel tran tran proprio non ce l'hai. Senti che vorresti qualcosa diverso e per la prima volta riesci a dirtelo ad alta voce. Che questa città, dove vivi da più di 10 anni, proprio non ti piace, che soffochi nello smog, e le confusione, la calca, la gente che corre, suona il clacson e corre in giro con l'orecchio incollato al cellulare ti rendono claustrofobica. Insomma che te ne vorresti proprio andare. Andare dove l'aria non puzza così tanto, dove non sia tutto ricoperto di cemento e asfalto, dove la musica è un po' diversa. Perchè qui se rallenti rimani tagliato fuori. Di cosa parli poi agli nell'ora d'aria, meglio conosciuta come happy hour?
Insomma per ora sono riuscita a dirmelo e a condividerlo per lo meno con chi mi sta accanto. E questo è un inizio. Forse il mio nuovo inizio...


3 commenti:

  1. Quanto è vero quello che scrivi...le tue perplessità....il paragone tra la nostra generazione e la generazione dei nostri genitori...il precariato...il malessere che accompagna costantemente con tanti perchè e nessun vero perchè...una società che corre e che se ti fermi ti travolge...Adesso faccio la mamma a tempo pieno e sto meditando di farne una scelta consapevole piuttoste che un subire decisioni degli altri, fare da tappabuchi, correre sempre dietro gli orari degli altri, avere perennemente la sensazione di inadeguatezza cucita addosso...anche io in questi giorni pensavo proprio a questo....un abbraccio!

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  2. Brava! Credo che sia proprio questo ciò che noi, ormai solo lontani nipoti del boom economico, dobbiamo riuscire a fare. Scegliere consapevolmente di fare qualcosa che chi è dentro il sistema (oppure i noi di prima) potrebbe giudicare alzando il sopracciglio. Ho passato momenti davvero brutti prima di riuscire a risollevare la testa, a ragionare e, perchè no, ad apprezzare quello che sono, al di là di quello che faccio. Momenti in cui, solo per il fatto di essere uscita dal flusso e di essermi (magari anche solo temporaneamente) fermata, mi sentivo di categoria inferiore, una perdente. Perché non facevo più quello che pensavo ci si aspettasse da me. Poi, dopo un bel po' di tempo, ho iniziato a comprendere come, in realtà, i peggiori nemici nostri siamo proprio noi stessi. Cresciuti in una società che ci impone di essere in un certo modo e non accetta deroghe. E ho realizzato, non senza fatica, che potrebbe esserci per me un futuro diverso, magari meno (o diversamente) prestigioso rispetto a quello che mi prefiggevo (io o qualcun'altro?) fin dagli inizi, ma forse più sereno, più maturo e consapevole.
    Un bacione a te e buona serata :)

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  3. Quanta tenerezza. Brividi addosso! Per chi può essere utile consiglio a visionare il canale YouTube molto interessante canale YouTube

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